domenica 9 aprile 2017

Oak Island - Goonies nella vita reale... invecchiati.

Allora, non sto scherzando. Amo fare le maratone. Le serie televisive mentre lavoro al pc. Le faccio andare puntata, dopo puntata, dopo puntata.
Devono sottostare ad alcune cose. Essere poco impegnative, evitare puttanate morali del “Salvatori del Mondo”, niente minchiate sentimentali rosa, riducendo tutto a: basta che non irritino per l’irrealtà dei dialoghi e non devono esaltare una certa categoria di uomini che in verità non si spreca neanche a fare la riciclata.

Da qui, Oak Ilsand
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Per caso ho visto mezza puntata della quarta serie. Ho riso così tanto, incredula che ci fossero davvero persone che lo facevano, da mettermi a guardarle TUTTE. Al momento mi mancano due puntate per finire la seconda stagione.
Riassumendo, è un documentario su due fratelli che, ormai credo in pensione, si sono messi in testa di cercare il misterioso tesoro di Oak Island, isola della Nuova Scozia che, da 200 anni è il luogo dove numerosi cacciatori di tesori si sono cimentati in una fantomatica cerca

Per loro, tutto nasce quando uno dei due fratelli lesse un articolo, si appassionò e tirò dentro anche il fratellino più piccolo.
Loro poi crescono e una volta ritiratisi dal lavoro formano una società, comprano la maggior parte dell'isola e cominciano le ricerche.
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I fratelli Walsh invecchiati?
Il più giovane, più pragmatico e avvezzo a soldi e idee di impresa, sembra essere quello più scettico. L'altro è il sognatore. In sé sono una gran bella accoppiata, ben affiatata. Soprattutto si vede l'amore fraterno che c'è tra i due, con Marty (il più piccolo) che si lascia trascinare dal fratello, non solo perché è un sogno comune, il loro, ma perché Rick (esatto: assieme il loro nome è praticamente Ricky Martin... dovrebbero chiamarle il musicista, magari con lui risolvono il mistero) è il motivo per cui sono lì. In sé è bello vedere come due fratelli coltivano il grande sogno dell'infanzia. Dì per sé sono una gran bella storia che potrebbe essere bella, raccontata anche solo per questo. È anche molto bello notare come ogni cosa che venga reputata interessante o degna di essere definita un progresso, loro si preoccupano di avvisare e tenere coinvolto un anziano cercatore d’oro che ha passato anni alla sua ricerca, pieni di sincero affetto nei suoi confronti e rispetto per la storia che lui stesso rappresenta.
Ma questa serie è una cosa diversa. History Channel di certo non si è messa a produrre la loro storia per i bei sentimenti che traspirano. Ma perché i misteri piacciono e vendono. Vendono tanto. Qualunque mistero sia.

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Giacobbo nazionale, creatore di un programma
che tutti segretamente guardano ammirano e
invidiano
E' qualcosa alla Voyager, il programma di Giacobbo, solo che loro si sono focalizzati su una sola cosa e continuano a cercarlo. Deve catturare l'immaginazione e soprattutto i complottisti di tutto il mondo
Scusate, ma è vero. 
Sicuramente History Channel li ha sovvenzionati per fare il documentario se no non sarebbero stati lì a filmare e loro non si sarebbero messi ad ascoltare tutte le ipotesi sull'isola, paragonabili solo all'omicidio di Kennedy. 
Ne sono sicura. 
E anche tanto, o dubito che Marty sarebbe andato ad ascoltare storie che parlano di Arca dell'alleanza, Graal, Templari e Antichi Ebrei che si sono spostati fino a lì, Shakespeare che è un Massone, so che a un certo punto parlano anche dei tesori della corna di Francia... ci sono stati dei momenti in cui, mentre guardi le puntate di questo documentario lo vedi che vuole dire "che stronzata", così come il fratello e altri (i più giovani - i figli e i nipoti - sembra che vogliano solo scoppiare a ridere). Anche perché, scusatemi, ma quando parlano di gallerie fatte in breve tempo, scavando e trivellando, in un'epoca dove per quanto fattibile, il tempo sarebbe stato comunque più lungo, le cose sono per lo meno forzate. Oltre ad un'insulto per l'intelligenza umana. La cosa buona è che essendo 
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La fantomatica pietra che ora dicono dispersa.
Sotto la traduzione della scritta che ora, per ragioni loro,
viene ipotizzata sbagliata
Giuro che mancano solo gli Alieni e poi le hanno provate tutte, mi chiedo perché non l'abbiano ancora fatto (sono alla seconda serie quindi non lo so), visto pure che ogni tre per due fanno riferimento a una tavola con "antichi simboli" che poi sono gli stessi che certi fanatici dicono siano scritte aliene
Forse hanno minacciato quelli della redazione che se gli portavano pure fanatici come quelli avrebbero abbandonato tutto... io l'avrei fatto, per lo meno. 
Anche perché, va bene tutto, ma loro sono lì perché c’è qualcosa che li appassiona, essere presi in giro no. Ci sono andati molto vicino, con un paio degli esperti che li hanno contattati (o per me con cui History Channel li ha messi in contatto) che sinceramente rendevano tutto talmente stupido da essere un insulto.
È facile poi mettersi a pensare a quale potrebbe essere il fantomatico tesoro, se questo esiste davvero.
Non puoi quasi farne a meno. Il più accreditato è tesori dei pirati. 
Ovviamente.
Anche se è decisamente assurdo pensare che dei pirati avessero progettato qualcosa di molto simile all’avventura dei Gunnies, che credo sia una storia che, semplicemente, dovrebbero guardare tutti i bambini del mondo, per poi uscire di casa e giocare ai pirati.

Se amate la storia di caccie al tesoro, questa versione contemporanea è estremamente carina. Se poi siete stati, come me, dei sognatori di queste imprese, senza magari averne avuta una in particolare, guardandoli vi appassionerete sicuramente, perché sapete cosa è quello che li spinge ad andare avanti. Ed è bello sapere che qualcuno, da adulto, riesca a potersi prendere lo sfizio di poter indagare sul suo grande mistero dell’infanzia.

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Il sogno di tutti i ragazzini del mondo...
Essere uno di loro, ma meglio.

giovedì 6 aprile 2017

Piccoli libri per poco tempo libero: la Cerimonia del Massaggio di Alan Bennet

La mia (troppo) piccola biblioteca è costellata di romanzi infiniti e racconti brevi. Non me ne faccio una colpa, amando la lettura non posso fare a meno di vagare su qualunque cosa. In verità non ho più un genere letterario fisso, se l'ho mai avuto, e mi diletto quando ho tempo di leggere qualunque cosa.
In verità negli ultimi anni i miei sforzi economici si sono indirizzati maggiormente su saggi storici (Robespierre!! Robespierre!!) o libri di architettura, urbanistica e paesaggio.
Se però voglio seriamente rilassare la mente (i saggi storici mi attivano la fantasia e non mi fermo più, gli altri li uso per lavoro e studio) mi piace passare il tempo con libri decisamente più tranquilli. Ovvero tutti gli altri.
In questo post voglio parlare di un genere di libro che chiamerei libro breve.
Perchè andiamo: non tutti siamo capaci di passare troppo tempo su un buon libro con un interessante numero di pagine, tanto vale provare a godersi un libro più breve che permette quindi di passare in fretta ad altro, viso anche la sempre più bassa capacità di attenzione.

LA CERIMONIA DEL MASSAGGIO di Alan Bennet (Edizioni Adelphi) è uno di quei libri. All'autore britannico sono bastati meno di cento pagine per raccontare una storia completa. I personaggi di cui parla o accenna appena sono infiniti, ma allo stesso tempo pochissimi.
La storia è piuttosto semplice: si tratta di una cerimonia funebre. La cerimonia di beneamato Clive, un massaggiatore che ha unito un numero non ben definito di personaggi del mondo della spettacolo che si sono quindi tutti riuniti per la sua commemorazione.
Padre Jolliffe Geiffrey (sua madre - l'autore - deve averlo odiato quando l'ha creato per dargli un nome del genere) è il punto di vista effettivo della storia, essendo anche il cerimoniere di questa commemorazione. E' un prete anglicano a cui si contrappone sul piano religioso quello di Treacher (il cui nome mi sembra alluda incredibilmente a quello della Thatcher, ma forse sono io che non sono abbastanza anglofona), che è un'altra mentre narrante.
Padre Jolliffe si contrappone anche all'amico Clive: tanto il primo è suo malgrado forse, solitario e imbranato, l'altro è mondano e catalizzante. 
Clive è morto misteriosamente in un luogo remoto e quasi tutti i partecipanti temono che il male incurabile che lo ha ucciso sia, essenzialmente, una malattia sessualmente trasmissibile.
Non è infatti nascosto al lettore che l'aitante massaggiatore di colore sia o sia stato l'amante praticamente di tutti i presenti.
Man mano il racconto procede, quasi ti affezioni a tutti i personaggi, dalla vecchietta che si spaccia per una parente del defunto, al (troppo) giovane ragazzo che tenta di parlare. Sono pochi i personaggi che hanno davvero un ruolo, sembrando per lo più un corale di emozioni simili e personali che li rende comunque tutti importanti: sembra quasi che sia la teatralità dell'intera situazione, non senza una certa ironia, tutte le emozioni umane possibili in una situazioni del genere e che sia questo timore e questa voglia di vivere ad essere i protagonisti dell'intera vicenda.
Non è possibile definire questo libro il più bello che si sia mai letto, ma certamente fa la sua figura. Il racconto è adatto per passare un pomeriggio per ridere un po' alle spalle (inesistenti) di persone che si sentono invincibili fino a quando non si trovano davvero davanti alla possibilità della morte. Non ti fa pensare alla profondità dell'essere o al senso della vita (per quando l'argomento che da origine al tutto sia serissimo) ma sicuramente ti distrae un po'.

Lettura consigliata durante un caldo e tranquillo pomeriggio.

martedì 4 aprile 2017

Tavola Luminosa AGPtek A3

Di recente ho parlato di un altro aggeggio tecnologico: il Lumsing. 
Questa tavola luminosa è il motivo per cui l'ho comprato.
Tutto risale a mesi fa e l'inverno stava finendo.
Non sto qui a raccontare la lunga serie di ricerche che ho fatto che partono da tutt'altro, fino ad arrivare alle tavole luminose.
A casa mia ci sono sempre state delle tavole luminose: mio padre per lavoro ne aveva due (una a casa e una in ufficio) e sono tutt'ora perfettamente funzionanti ma estremamente scomode (e pesanti).
Capirete quindi che, volendo cercare qualcosa del genere, dovevo sopperire non tanto ad un'esigenza base, ma piuttosto a qualcosa che avesse caratteristiche ben precise:
  • leggerezza
  • grandezza superiore all' A4
  • facilità di trasporto
  • prezzo accessibile
  • luci regolabili
Infatti non sono finita subito su questo particolare prodotto, ma su un'altro che, apriti cielo, era in squisita offerta. Il mio problema fu l'aspettare troppo: non avendo possibilità economica in quel preciso momento, ho dovuto aspettare e l'offerta è sfumata... prima ancora di averli.
Alla fine, depressa, ho fatto caso al AGPtek 14.6X18.5Inch .

Mi sono dovuta convincere a comprarlo. Perché? Per la luminosità. L'altro prodotto poteva cambiare la luminosità, questo no. Ormai, però, ero così ossessionata all'idea di avere una tavola luminosa, che mi sono convinta a comprarla comunque con la scusa mentale che avrei testato l'utilità del prodotto prima di poterci spendere più soldi (per un A2).
La conquista definitiva sul prodotto AGPtek 14.6X18.5Inch poi è arrivata quando ho visto l'alimentazione: funzionava con un USB, permettendo quindi di alimentarsi anche tramite il PC se fosse stato necessario (da qui il comprare il caricatore di USB che mi allontana dal pc e posso lavorare senza tenerlo accesso) che mi ha reso più tranquilla nel non dover cercare un adattatore universale.

Poi è arrivato... e me ne sono innamorata.
Mentre mia madre mi consacrava una malata di tecnologia (Geek? Chi siete voi? Niente!) io mi sono scartata il pacco come se fosse stato Natale.





Nulla da dire sulla tavola in sé, per lo meno a livello estetico. La tavola è grande, bella proprio come si vede dalla foto.
Oltre a quello ho esultato per un'altra cosa, tirando fuori la tavola: ci sono sia la presa inglese che quella italiana (che io chiamo "civile") e il filo USB che è staccato.
Parliamo del filo, che non è particolarmente lungo, come mi aspettavo, ma è un'altra la cosa che ho notato: l'attacco USB era ovvio, ma è apprezzabile l'altro attacco: è lo stesso dei cellulari quindi la sostituzione è estremamente rapida in caso di bisogno (o nel mio caso, evito di usare quello personale e uso quello che ho già in giro).

Poi tocca alla tavola in sé: ha tre luminosità.
Sono entusiasta. Le tre luminosità sono bellissime e mi fanno davvero tanto felice. Ora, voi direte: ma come, non c'era scritto?
La risposta è: sì, ma io non ci ho fatto caso, anche perchè ero così concentrata nello stare attenta a non comprare un A4 che mi avrebbe rovinato l'umore, che non ho guardato altro e notare il filo con USB è stato già tanto.

Non c'è molto altro da dire: sicuramente non ha niente da invidiare alle altre tavole luminose più costose, dando un respiro incredibile al lavoro che consente di fare.


domenica 2 aprile 2017

La classica storia di ogni adolescente

A poco più di un anno dalla scomparsa dell'autore, lessi per la prima volta Il giovane Holden di J.D. Sallinger (Einaudi Edizioni). Di recente l'ho riletto e la mia impressione non è cambiato.
Questo romanzo è l'opera prima e più celebre dell'autore.

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Sinceramente, col senno del poi... anche ora è una storia incredibile

Non succede, di per sè, nulla di avvincente, ma è facile comprendere come sia diventato un libro simbolo. O perché possa tutt’ora essere definito così e non solo dalla generazione in cui questo racconto ha visto la luce, ma da parte di tutte le generazioni. E per tutti coloro che ricordano di esserlo stati.
Un riassunto del libro è inutile (ce ne sono talmente tanti, che tanto varrebbe leggerlo, il libro) ma per una recensione che si rispetti di un classico, è impossibile non decretare la propria personale opinione sulla storia. E quindi se è o non è piaciuto.
La risposta? Basta leggere la prima frase scritta qui sopra per capire quanto abbia apprezzato la storia del giovane Holden.
È incredibile come, quando lo leggi, sia facile l’immedesimazione nel personaggio. Anche se si è una donna.
Holden incarna perfettamente ogni adolescente di ogni tempo, ma non di quelli da telefilm o film. Un adolescente VERO, REALE. O sarebbe meglio dire CREDIBILE? 
È tenero e vero, e sfigato ma con un certo… no, scusate. È proprio il classico sfigato. Quello che siamo tutti noi. Non è quello che riesce sempre e comunque, non quello a cui le cose vanno bene perché è qualcuno di speciale o altre cagate simili. 
Holden sogna, sbaglia, si giustifica.
Ma soprattutto cade e tenta di andare avanti.
Bene o male.
Nonostante tutto.

In sé non è definibile una storia incredibile se non per il suo essere specchio di ogni cosa.
Salinger, attraverso la voce di Holden, tocca tutte le esperienze tristi e irrisolvibili di un ragazzo che non è sicuro di quale sia il suo posto nel mondo e di come comportarsi. È facile perdersi tra i suoi ricordi e le sue esperienze, immedesimandosi nel personaggio.
Salla perdita della persona amata, ai sentimenti nascosti per qualcuno, al velato senso di adeguatezza rispetto al mondo nel quale in fondo non si hanno certezze su quale sia il proprio posto e si pensa di andarsene, il tutto tinto in note blu di tristezza dove il freddo invernale di sfondo riesce anche ad entrare dentro l’anima.
Holden incarna perfettamente ogni adolescente di ogni tempo, un adolescente che ha debolezze e fragilità che non è in grado di mostrare neanche a se stesso. Tenero è vero, ha una fragilità così umana che la si sente propria grazie anche alla natura espressiva dell’autore che riesce a tirare fuori anche da noi stessi le stesse insicurezze.