martedì 27 giugno 2017

Estate, misteri lontani da noi, nella Baviera rinascimentale con la Figlia del Boia

Con l'arrivo dell'estate, la mente stressata e stanca cerca sempre, forse più che mai, il modo per svagarsi e quando è in vacanza vuole evadere in mondi che non ci appartengono, per tempo, luoghi e, perché no, mistero. Non vogliamo necessariamente il resoconto di squarti e torture, ma vogliamo un bel mistero, finto, dove possiamo correre pericoli rimanendo fermi senza soccombere noi stessi al caldo.
Il caldo che da alla testa e fa essere più vicino alla violenza, forse più essere esorcizzato davvero, accanto a un buon libro, magari dove bisogna risolvere enigmi, salvare persone da morte certa, scoprire l'assassino...
Io sono dell'idea che l'estate sia infatti o il periodo perfetto per leggere un bel giallo, oppure un bel libro giapponese.
Sarà per quello che, con tutto il caldo che è arrivato a preannunciare l'estate, l'ultima volta che sono entrata in libreria, oltre al regalo di compleanno per un'amica sono uscita con due regali per me: La figlia del Boia  e Il ristorante dell'amore di Ritrovato (prestato a mia madre, non amante di saggi, storie a sfondo storico e lettrice di Sveva Casati Modigliani che "racconta storie lunghe una vita").

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Li presi entrambi per due motivi: il primo perchè ero curiosa di vedere come scriveva un tedesco un giallo storico nella sua terra e come questa venisse dipinta e l'altro perchè ero curiosa di vedere come una storia che di solito piace a mia madre veniva interpretata da qualcuno della cultura del Sol Levante, immaginandolo molto più apprezzabile di come io reputo quel genere di letteratura scritta da noi. Sì, i giapponesi hanno un modo di raccontare e di esprimersi che evita certi leziosi meccanismi ipocriti e falsi (lo so che sono sinonimi, ma hanno sfumature diverse) che vengono invece vomitati nella letteratura giapponese.

Ed è della Figlia del Boia di cui voglio parlare. 

La figlia del boia di Oliver Pötzsch è un ottimo esempio di giallo rinascimentale (in questo caso tedesco). 

Opera prima dell'autore, la storia, con qualche scivolone neanche tanto grande ma assolutamente facile da veder superato, è un ottimo esempio di giallo a sfondo storico.
Ambientato nella città di Schongau, Baviera, la morte misteriosa di un bambino da inizio a un'assurda (sicuramente - forse- per i giorni nostri) caccia alle streghe che vede come seconda vittima la levatrice della città: Martha Stechlin con cui il bambino era solito rimanere assieme ad altri orfanelli, in quanto unica figura femminile e amorevole che dava loro attenzione.
Ad avvalorare la tesi della stregoneria abbiamo un segno che fin da subito è legato alla magia.
Il boia, Jacon Kuisl, e il medico, Simon Fronwieser, della città non sono però convinti della colpevolezza della donna e cercano di salvarla, affrontando le voci, le dicerie e le paure della gente del posto.
Nella storia poi va a delinearsi una terza protagonista, una voce femminile, quella della figlia del boia, la Madfalena che aiuterà i due uomini a scoprire quale è la verità, mentre gli eventi precipitano sempre.
Personalmente, da amante dei libri di Ellis Peters, brevi e comunque completi, non ho trovato nulla di recriminabile sulla lunga e dettagliata storia che invece ha scritto Pötzsch. L'autore tedesco ha scritto di ottimi personaggi e dei bei dialoghi (anche se sono morta dal ridere quando c'è stata l'uscita "ma noi ci amiamo"). Ha voluto dare lustro ad alcune personalità, riscattandole, e anche parlare di un tema molto delicato per l'epoca e che per noi è quasi ammantato di qualcosa di davvero magico: la stregoneria, legato a doppio filo alla misoginia imperante nella società
Non si sofferma sull'amore per il truculento, ma piuttosto sulle reazioni della popolazione e dei singoli su quello che è l'argomento. Da chi si schifa a chi si appassiona.
Tutto quello che spinge i personaggi della storia ha un che di credibile e perfettamente comprensibile dal lettore che quindi partecipa in tutti gli aspetti della storia, dalla sete di giustizia, agli affetti, all'interesse personale, fino alla stessa paura; anche la sete di sangue di per sèénonché è alla passione per la tortura senza un vero motivo.
Personalmente l'ho trovato avvincente, tanto da non riuscire a staccarmi dalla storia. Personalmente l'avevo evitato in libreria per il titolo (visto le scottature che avevo ricevuto in passato sui libri con titoli del genere e quarte di copertina simili) ma poi mi sono fatta convincere dalla mia sete di narrativa che sta riaffiorando dopo che quella dei saggi è stata in parte soddisfatta. Volevo qualcosa che risultasse piacevole, senza avere troppe speranze e La figlia del boia è risultato essere un libro davvero sorprendente su questo punto di vista
Dico solo che, infatti, aspetterò la fine di luglio e mi comprerò La figlia del boia e il monaco neroo, per immergermi in un altro mistero della Baviera del XVII secolo senza però sensi di colpa visto le numerose cose che avrei dovuto fare invece di leggere. In questo caso ci saranno i Templari e i loro tesori: mi divertirò un mondo.

domenica 25 giugno 2017

La Fantascienza anni '80 in un ritorno alla grande!

Allora. Capiamoci.
Se sei nato negli anni '80 sei cresciuto con le stesse cose con cui sono cresciuta io: i Gunnies ed ET.

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Se sei nato negli anni '80, amerai Stranger Things



A parte per Danger & Dragons.
Io odio Danger & Dragons.


La storia è ambientata negli anni '80 in una piccola città dell'Indiana (poi è da capire perchè è tutto ambientato nell'Indiana). Praticamente sono i protagonisti dei Gunnies, molto più sfigati.
Dopo una giornata passata a giocare a uno dei più famosi giochi di ruolo del mondo, tornano a casa e Will Byers sparisce in circostanze misteriose.
Nello stesso momento compare una ragazzina della stessa età che, affamata, entra in una tavola calda e mentre mangia viene scoperta dal proprietario che, dopo averla presa, capisce di avere a che fare non tanto con una piccola delinquente, ma con una povera fuggiasca. Si preoccupa così di darle un rifugio e chiamare i servizi sociali. Gli sarà fatale. La piccola, Undici, è infatti fuggita in circostanze misteriose da una sede dell'esercito e ha poteri ESP, motivo per cui il Governo ha intenzione di fare di tutto per averla. Avere lei e nascondere il disastro che ha portato alla sua fuga.
Per sua fortuna, Undici riesce a sfuggire e incontra così i tre amici del disperso Will (Mike, Dustin e Lucas) che sono alla ricerca del loro migliore amico.
Undici trova così rifugio a casa di Mike, con il quale pian piano lega un'intensa amicizia, mentre tutto attorno a loro subisce le conseguenze e si ritrova ad essere il terreno di caccia di un mostro.
Mentre Undici "aiuta" i tre ragazzi a cercare il loro amico, infatti, il mostro risvegliato dalle azioni della ragazzina costretta dal Governo.
Mentre i ragazzini si dividono, riuniscono, litigano e macchinano alla ricerca del loro amico (pieno di citazioni che vanno dai supereroi ai giochi di ruolo), lo sceriffo Hopper indaga sui misteri che circondano la scomparsa del ragazzino, ricerche che sono ostacolate dal laboratorio Hawkins (il Governo) che inscena addirittura la morte del bambino. A non crederci però ci sono sia lui che la madre (un po' flippata) del ragazzo: Joyce.
Ad indagare ci sono anche il fratello maggiore di Will (Jonathan) e la sorella maggiore di Mike (Nancy) che sono i primi ad accorgersi della presenza del mostro (con tanto di crisi di coppia tra Nancy e il neo-fidanzatino-figo-di-turno-ma-io-preferisco-il-disadattato).

Il tutto perfettamente amalgamato. La storia è lineare e ben congegnata. Pure con momenti di comicità e di estrema intelligenza. 
I ragazzini sono molto ragazzini e gli adulti sono adorabilmente dei disadattati.
La storia è appassionante e i ragazzini brillano davvero di luce propria.
Questo così non fa fare troppi paralleli.
La storia infatti è una storia di avventura per ragazzi, con toni moto bui (forse un po' alla Alien, ad essere sincera, visto le fattezze del mostro) che rendono il telefilm appetibile sia per i ragazzini coraggiosi che con chi ha qualche pelo in più sullo stomaco (il che mi ricorda l'aneddoto assurdo dove ho sentito una ragazza quasi adolescente che diceva di avere un sacco di peli sul petto...
La storia infatti appassiona fino alla fine. E ti ritrovi spesso a saltare sulla sedia, non tanto per lo spavento, quanto più per urlare "Dai-Dai-DAI!!!"

Sul serio, lo consiglio.
E aspetto con ansia la seconda parte. Anche se temo non mi entusiasmerà come la prima visto che spesso si ha l'ansia da prestazione e si tende a esagerare.

lunedì 19 giugno 2017

Puskin

Sinceramente, detto tra noi. Non sono una grande amante delle storielle rosa.

Non sopporto le donnette che trovano l'amore nel primo amore.
Non sopporto chi torna con gli ex dopo terribili traguardi.
Non sopporto chi crede a scempiaggini tipo "sposo lei ma amo te" (questa citazione la metto dopo il conato di vomito che mi è venuto dopo una recente pubblicità di un certo sceneggiato spagnolo che sta piacendo tanto).

Diciamocelo: c'è così poco sentimento nella nostra vita reale che pure le pantomime vanno bene alla maggior parte delle persone.
Personalmente, però, se non c'è un vero pathos, dei veri moti che scombussolano la via delle persone (e la stronzetta turno NON è di certo tra questi), io non le reggo.

Poi c'è letteratura rosa e letteratura rosa.
Perché diciamocelo: Anna Karenina non è letteratura rosa, ma è Letteratura Rosa.
In effetti i grandi polpettoni russi di Toistoj ebbero un grande successo perché parlano di amore, guerre e infinite passioni. I russi si rivedono in Guerra e Pace, Anna Karenina tutte le donne dal matrimonio sbiadito, i fratelli Karamazov sono più appassionanti di Shamless o Gomorra, o qualunque altra roba della TV. Insomma: quando i russi decidono (ammetto che non conosco la letteratura russa contemporanea, quindi voglio dare loro il beneficio del dubbio e non mettere decidevano), la facevano piena di personalità appassionate e appassionanti.

Ma Toistoj è l'ultimo di un breve periodo florido per la letteratura russa. Né tanto meno lo era Dovstoevski (che per chi li conosce, è giusto che sappia che io mi trovo più incline a leggere quest'ultimo, per quanto non possa non dare meriti all'autore delle grandi epopee).
Periodo iniziato pochi decenni prima e che vede nel suo massimo esponente in un autore simile e lontanissimo dal conterraneo.
Sto parlando di Puskin.

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E io, lo ammetto, amo Puskin. Più di quanto non amerò mai Toistoj.

Di famiglia nobile, Aleksandr Sergeevič Puškin fu un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo. Capirete che in quel periodo potevi essere tutto questo solo se eri di buona famiglia. E lui lo era. Era anche figlio d'arte, in un certo senso, avendo da parte di madre altri letterati.
Ma è lui che viene tutt'oggi considerato il fondatore della lingua letteraria russa contemporanea.
Sicuramente è un meraviglioso esponente del romanticismo russo.

Su consiglio di un'amica, tempo fa lessi, dell'Adelphi, La dama di picche e altri racconti.


Quelli dell'Adelphi ci tengono a rammentare che è una traduzione di Tommaso Landolfi. Chi è Landofli? Mi verrebbe da dire "guarda wikipedia come tutti noi i mortali", ma per ora basti sapere che è stato un grande letterato tanto che è considerato uno dei nostri maggiori autori contemporanei, anche se aveva uno stile forse un po' troppo ricercato per la massa italiana (scusa Gaber, ma ormai...). Probabilmente era grande davvero, anche perché, diciamocelo, un buon traduttore è fondamentale per cogliere l'essenza di un'opera, se non siamo così fortunati da parlare tutte le lingue del mondo.
Per sapere altro su Landolfi... guarda Wikipedia come noi i comuni mortali.

La Dama di Picche è di per se una storia di una grazia e una bellezza meravigliosa. Mi innamorai di Puskin leggendo i tre racconti presenti nel libro.
Da allora è sempre stato uno dei miei autori preferiti e non solo perché stimo enormemente chi è capace di scrivere dei bei racconti, ma anche perché quelle poche pagine erano appassionanti.
La dama di Picche, l'Uomo di posta ed Il fabbricante di bare sono tre gioielli.

Non credo, in effetti, che Puskin abbia mai scritto dei mattoni (per peso) del livello di Toistoj e fino alla Figlia del Capitano, non avevo mai pensato neanche che potesse piacermi come scrittore di romanzi.
Fors' anche perché non pensavo che ne avesse scritti. Intendiamoci: magari lo avrebbe fatto, se non fosse morto in maniera estremamente stupida (come lessi appunto nel libro dell'Adelphi in un bel testo, indovinate di chi? Sì, di Landolfi)

Poi ho trovato questo libo e, poltre ai tre racconti precedenti, lessi altri racconti e il romanzo La figlia del Capitano.

Questo libro, La figlia del Capitano e altri racconti, lo presi perché lo trovai per caso.
Era da tanto che cercavo qualcosa di Puskin, ma non riuscivo a trovare nulla.
Spesso le librerie sono crudeli con me.

Nei fatti, ogni racconto è palesemente figlio della Russia come è figlio della Russia l'opera di Toistoj. In più nel pieno stile romantico, dove passioni e l'onore sono al centro di ogni cosa.
Nel racconto Un colpo di pistola, abbiamo l'onore cavalleresco e l'amore romantico in un resoconto dalla storia di un uomo che aspetta anni prima della sua vendetta, creando un personaggio cupo e affascinante.
La Tormenta è invece la classica storiella d'amore con finale a sorpresa. Credo che sia una storia che col tempo è stata ripresa in mille versioni diverse, se non è lei stessa un rifacimento. Il classico innamoramento, matrimonio segreto, scambio di persona e lieto fine. Non è il massimo della narrazione, ma è leggero, piacevole, e irragionevolmente ottimista. 
Il fabbricante di barre è quasi una storia horror e onirica che sembra essere quasi ancestrale, riprendendo le storie oniriche e horror del loro tempo. Sì, sto pensando a Poe, solo che lui è precedente a Poe.
Il maestro di Posta mi ha fatto pensare. Già la prima volta che lo lessi mi fece pensare. Come la tormenta, questa è la classica storiella d'amore, se non raccontata da qualcun altro. La storia infatti è raccontata da qualcuno che è un mero visitatore che conosce il maestro di Posta e scopre della perdita della figlia. Ora, qui si vede che è una storia d'amore perché ha il lieto fine della figlia, ma sinceramente hai l'oblio dell'ignoranza dei fatti che rende la storia velata del romanticismo dell'immaginazione.
La contadina padrona. Altra storielle classica dove ci sono degli scambi di persona, dove la curiosità e l'innocenza femminile vengono un po' prese in giro dall'autore, ma ha creato una storiella divertente che che con il lieto fine e le giovani protagoniste femminili (sicuramente primo indirizzo delle sue opere) sono legate al filo logico di un sentimentalismo tipico a soddisfare un'immaginazione femminile addomesticata all'amore imbecille. Scusate, ma su questo scenario preferisco di più un'Anna Karenina che affronta il buon costume della società lasciando il marito per amore, piuttosto che le stupide ragazzine che vengono addomesticate agli maori leggeri. La passione della Karenina è viscerale, quello di Mar'ja, Dunja e Liza (servetta compresa) lo trovo solo di circostanza, avventato e troppo frivolo. E io neanche da bambina sono mai stata frivola. Di pro, sono spensierate, non si fanno condizionare da (inesistenti nella storia) opinioni e giudizi altrui e vivono appieno i loro sentimenti, il che comunque è apprezzabile.
Storia del villaggio di Goriuchino è un po' il riassunto generalizzato (e quasi allegorico) di quello che è successo a molti villaggi non solo Russi, ma un po' in tutto il mondo.
Personalmente, la mia preferita è sicuramente la Dama di picche che ha un che di onirico e oscuro dove Herman rimane soggiogato dall'idea di un segreto per vincere al gioco d'azzardo, che lo spinge ad agire d'azzardo e ne rimane scottato.
Si conclude con una piccola e dilettevole raccolta di racconti che sono ufficialmente messi nell'opera di un nobiluomo.

Poi c'è La figlia del capitano.
La figlia del capitano, tale , non è la vera protagonista della storia.
A parlare è Pëtr Andréevič Grinëv, il protagonista del romanzo, unico figlio di un nobile ufficiale a riposo che sin da prima della sua nascita è sergente della Guardia imperiale.
Quasi diciassettenne viene mandato dal padre al reggimento per cominciare davvero la sua carriera militare finendo quindi nella fortezza di Belogorsk, un villaggio disperso nella Russia sud orientale.
Nel viaggio incontrerà Zurin, un capitano di reggimento che gli vincerà 100 rubli, e un vagabondo che lo salverà dalla tempesta e a cui regalerò per simpatia e gratitudine un pellicciotto di coniglio (ignornado le proteste del suo attendente, Savél'ič).
Alla fortezza incontrerò quindi Maša, la figlia del capitano  Ivàn Kuz'imič e della moglie Vasìlisa e del quale ben presto si innamora.
La situazione poi precipita e possiamo dire che Grinëv riesce ad aver una buona quantità di fortuna, ma comunque meno di certi personaggi di romanzi militari/polizieschi dei nostri giorni. Anzi ha tutto sapore di altri tempi (in fondo lo erano, visto pure che è un racconto ambientato nella metà del '700 (e l'autore lo scrisse negli anni '30 nel secolo successivo ed entrambi sono ben lontani dai giorni nostri) ricordando in un certo senso I Tre Moschettieri (digli di una letteratura di avventura molto simile) ma che comunque tiene in sé una certa drammaticità e tensione emotiva. Una storia d'amore ben orchestrata all'interno di un conflitto dove alla fine i due innamorati altro non vogliono che il bene l'uno dell'altra.
Non so se c'è anche in altre edizioni, ma in quella del 2004 c'è un capitolo omesso dall'editore che da un senso ancora più amaro nella storia, con riflessioni intense da parte del protagonista.

Insomma.
Puskin come Toistoj scrive di storie d'amore, in fondo. Ma la differenza tra lui e i libricini rosa sono sono le tensioni che sa trattare nelle storie lunghe 200 pagine, come la leggerezza senza pretese e senza, per forza, profondità forzata nei personaggi, pur sapendo dare sempre delle suggestioni interessanti.

Sapeva di essere un bravo scrittore? Sicuramente. E sicuramente lo era.

giovedì 15 giugno 2017

Umani o non umani... questo è il telefilm!

Se qualcuno di voi ha guardato Merlin, sa che è una serie televisiva britannica che era partita con un ottima sceneggiatura per andare pian piano a degradarsi. La cosa buona che ha fatto è stata lanciare giovani attori quali Katie Mc Garth (Morgana), Colin Morgan (Merlino), James Bradley (Artù), mi spiace che non abbia fatto altrettanto con Angel Coulby (Gwen) ma probabilmente la repulsione per lo show e di riflesso per Ginevra, deve aver colpito anche lei che però è deliziosa, ma che comunque ci ha fatto lustrare gli occhi con quel bel figliolo di Eoin Macken e un Santiago Cabrera che ha interpretato uno dei ruoli peggiori che potevano affidargli (ma per lui era una kermesse).
E mentre la bella Katie si lancia in lavori americani, il suo connazionale (grazie Irlanda, sul serio!) si è messo a lavorare in una chicca.

Humans.
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Otto episodi per la prima stagione e una terza in programmazione.
lamiasolaopinione.blogspot.itLa storia è in verità un ramake. Ma diamo a Cesare ciò che è di Cesare: quando nel Regno Unito decidono di fare il ramake di una serie contemporanea di un'altra nazione, la fanno davvero bene.
In questo caso la Serie è Svedese, non è mai arrivata in Italia (PURTROPPO) e sicuramente è meritevole: da della spazzatura non riusciresti a produrre qualcosa di decente. Spero che un giorno riuscirò a ripigliarmi abbastanza per guardarla con i sottotitoli. Vorrei comunque far notare la mediocrità di chi compra solo le serie americane/britanniche da rifilarci.


Premessa. Qui sotto ci sono un "paio" di spoiler, quindi se non volete saperli, sappiate una cosa: se vi piace il genere fantascienza con Intelligenza Artificiale e Singolarità Tecnologica, dovete assolutamente vederlo.

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Humas, comunque, parla della - trita e ritrita - questione dell'intelligenza artificiale: da Blade Runner (ho visto cose che voi umani...) a... beh. Tutto: anche quei robottoni dei Trasformers, in fondo.
La storia è semplice: in un mondo dove i robot, qui chiamati Synth (sì, lo penso anche io: sembra un sacco il nome della voce dell' I-phon), vengono utilizzati sostituendo la bassa manovalanza: dalle prostitute ai lavori domestici. Non sono creature senzienti: sono umani senza esserlo. Con le solite leggi della robotica (Symov, dopo 75 anni, sai ancora come rompere le scatole), senza emozioni, senza opinioni...
Ed è allora che una famiglia, gli Hawkins, ne comprano una per aiutare in casa. Questa è la bellissima Anita (come la chiameranno loro). Questa Anita però sembra sin da subito strana agli occhi della diffidente Laura ( Katherine Parkinson), ma anche della figlia maggiore Sophie (Pixie Davis). Le due, ovviamente hanno ragione. Anita, in verità è Mia, un'androide senziente di 14 anni (la vita massima è di 4) che è stata presa, riprogrammata e venduta. Mia (Gemma Chan) faceva parte di una famiglia composta da 5 individui: Max, Leo Elster (figlio del loro creatore, più che umano un cyborg), Niska e Fred. Questi ultimi due sono stati presi come Mia e, mentre lui è finito a raccogliere verdura per poi essere catturato dai servizi segreti e lo scoprono senziente, Niska finisce in un bordello.
In parallelo ci viene mostrato soprattutto un altro personaggio, George Millican (William Hurt) ex collega del padre-creatore dei 4 Senzienti che, ormai anziano e semi-invalido tenta il tutto e per tutto di salvare il suo Synth, non tanto per quello che è, quanto per l'affezione che ha per lui e per quello che rappresenta. Un attaccamento meraviglioso, nonostante il suo Odi sia praticamente un rottame: paragonato alla vita umana era nel pieno della demenza senile.
Il rapimento dei tre, la scoperta di un Synth senziente e la ricerca della sua famiglia da parte dell'organizzazione che li produce e li vuole studiare e le vicende interpersonali della famiglia Hawkins (il cui nome ha un certo richiamo sonoro con il fiore all'occhiello del mondo scientifico britannico) e la ricerca dei vari membri di tutta al loro famiglia da parte di Leo e (un meraviglioso) Max, rende tutto estremamente coinvolgente.
Direi quasi che uno dei motivi per cui funziona questo telefilm è proprio perchè parlano di Androidi. Purtroppo se fossero umani non avrebbe la stessa presa perchè vorrebbero infilargli troppa drammaticità. Gli argomenti trattati però sono piuttosto palesi, come in tutti quelli sull'argomento: dal razzismo al commercio degli esseri umani, dal lavoro e le sue politiche alla concezione del diverso.

Ora veniamo alle critiche del generico.

Trovo certe sfumature un po' stridenti e generalizzate. Mia ad esempio la vestono sempre come un'operaia cinese, le acconciature sanno di anni '60 fin troppo spesso, soprattutto per le signorine. La bella bionda costretta a prostituirsi, oltre che palesemente originaria dell'Est Europa ha un nome altrettanto slavo. Credo sinceramente che potevano evitarlo, per quanto la voglia di rinfacciare ai telespettatori tutto questo c'era ed è intuibile. Personalmente potevano risparmiarselo, ma solo perchè è tutto molto palese.

Ora vediamo cosa dice la seconda stagione...


Viene palese il paragone con l'altro telefilm sull'Intelligenza Artificiale: Westword.

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L'argomento è infatti lo stesso e trattano le stesse cose quasi alla stessa maniera, ma i Synth sono più simili all'idea di I, Robot, piuttosto che Westword. E gli umani non vivono dei giochi di ruolo con loro se non nella normalità della vita dove non sono che oggetti dall'aspetto di persone, invece che le persone-oggetto della realtà.
Sono, comunque, entrambi due gran bei modi di trattare il tema: il primo alienandolo in un parco di divertimenti in tema FarWest, l'altro nella quotidianità.